Itinerario 15: Acquabella
Il Progetto Giraparchi
Milano ospita diversi giardini, parchi e spazi verdi che risultano essere enormi polmoni per una metropoli sempre più caotica e inquinata, ognuno con la propria storia, vegetazione e fauna. Molte di queste aree verdi milanesi sono però poco conosciute e fruite, nascoste tra gli enormi palazzi della città o racchiuse da alte siepi e muri.
Il progetto “GIRAPARCHI” nasce per scoprire le ricchezze di questi spazi, indispensabili per i cittadini e per la città stessa. Con questa iniziativa porteremo a conoscere gli aspetti storico-artistici e naturalistici non solo dei parchi più fruiti, come Parco Sempione e i Giardini pubblici Indro Montanelli, ma anche di quelli più nascosti e meno turistici, attraverso degli itinerari accessibili a tutte le fasce d’età.
Gli obiettivi sono quindi diversi: valorizzare il territorio ed in particolare le indispensabili aree verdi che si inseriscono nel contesto urbano; promuoverne ed implementarne la fruizione e la conoscenza, sia dal punto di vista storico/architettonico che naturalistico; tutelare e preservare queste aree responsabilizzando la cittadinanza alla gestione e alla custodia del proprio territorio; avvicinare i cittadini alle bellezze della loro città coinvolgendo italiani di seconda generazione, famiglie straniere, giovani e cittadini meno coinvolti da iniziative culturali.
Itinerario Acquabella
Partenza: Parco Alberto Vigevani – Piazzale Dateo
Arrivo: Via Camillo Hajech
Durata: 30 minuti
Lunghezza: 2,2 km
Ci troviamo nel quartiere Acquabella, diviso tra il Municipio 3 e il Municipio 4. Il quartiere prende il nome da un’antica cascina costruita probabilmente nel quindicesimo secolo, denominata proprio Acquabella per via della presenza di una roggia che giungeva in Piazzale Susa. L’Acquabella, infatti, era un tempo ricca di pozzi artesiani che portavano in superficie l’acqua fresca che scorreva in profondità. Queste piccole sorgenti davano vita a numerose marcite che avevano portato, a loro volta, alla edificazione di molte cascine e piccoli borghi agricoli nelle vicinanze. Qui vi era anche una forte depressione nel terreno, tanto che la roggia che passava da Via degli Scipioni faceva tre salti verso Piazzale Susa, depurandosi e restando chiara e limpida.
Con l’arrivo della ferrovia, nella seconda metà dell’Ottocento, l’area incominciò a urbanizzarsi e a industrializzarsi. L’antica Cascina Acquabella sopravvisse a tutti questi stravolgimenti, compreso l’innalzamento stradale che livellò l’intero quartiere, finché a causa dell’abbandono e a causa della grande necessità di edifici degli anni Cinquanta si decise di abbatterla. Oggi, i pozzi, la roggia e le cascine sono scomparsi e rimangono solo un ricordo, come quel nome, Acquabella, ormai non più molto usato.
1. Piazzale Dateo
Il piazzale prende il nome dal presbitero Dateo, arciprete della cattedrale di Santa Maria Maggiore, vissuto a Milano nell’800. Fu il primo forse in tutta Europa a creare un brefotrofio, un istituto che accoglieva e allevava neonati illegittimi, abbandonati e non riconosciuti. Gli uffici della Città metropolitana di Milano che si affacciano proprio su questo piazzale hanno occupato gli spazi del vecchio brefotrofio provinciale, denominato anche il “Nuovo Brefotrofio”. Fondato oltre cento anni fa e attivo dal 1911, ospita ad oggi l’archivio storico degli Istituti provinciali Assistenza Infanzia Milano (AIPMi). Si tratta di un vasto complesso a padiglioni distinti collegati da un corpo centrale a U.
Nel grande piazzale vi è inoltre una fontana, mai entrata in funzione, realizzata nei giardini intitolati allo scrittore Alberto Vigevani.
2. Corso Plebisciti e Piazzale Susa
Lungo Corso Plebisciti, un ampio viale appena riqualificato con la costruzione della nuova linea metropolitana 4, sorgeva la Cascina Acquabella, ormai non più visibile. Su entrambi i lati del viale si possono osservare palazzi con diversi stili, da quello littorio, tipico del periodo fascista e volto a omogeneizzare le correnti architettoniche in Italia, al tardo liberty.
Il corso termina in Piazzale Susa, un tempo la sede di uno dei più importanti snodi ferroviari di Milano, bivio di smistamento tra le vetture destinate alla Stazione Centrale, situata inizialmente in Piazza della Repubblica, e la deviazione verso Porta Tosa. Con lo spostamento della Centrale nella sua sede attuale, lo snodo è stato smantellato completamente, restituendo spazi utili alla realizzazione di strade e piazze per l’uso urbanistico.
3. Pia Casa della Senavra
Primo nucleo manicomiale della città di Milano, entrato in funzione nel 1781 e chiuso nel 1878 a causa della scarsa salubrità e del sovraffollamento. Il palazzo venne edificato nel 1548 quale residenza di campagna per Ferrante I Gonzaga dopo la sua nomina a governatore di Milano. Dopo vari passaggi di proprietà, è passato ai Gesuiti, che vi stabilirono una sede di ritiro spirituale. Sebbene nei primi anni dalla fondazione venissero accolti anche individui affetti da disabilità fisiche, a partire probabilmente dal 1791 la Senavra divenne una casa per soli pazzi. Pensato per contenere circa 300 persone, il manicomio arrivò a ospitarne più di 500 intorno al 1850, con gli inevitabili problemi che questo comportò: la chiusura e il trasferimento dei ricoverati presso l’Ospedale psichiatrico provinciale di Milano in Mombello. A seguito della chiusura del manicomio, dal 1883, il complesso cambiò nuovamente destinazione d’uso, divenendo un ricovero comunale per ospitare anziani indigenti e senza dimora. Nel 1962, si iniziò il lavoro di riconversione dell’edificio a chiesa parrocchiale.
La leggenda: si narra che nei paraggi dell’edificio si aggiri lo spettro di un paziente morto nel manicomio, chiamato il “vecchio della Senavra”. Dopo la mezzanotte ci si può imbattere nel fantasma che ama far paura ai viandanti, riconoscibili dal caratteristico rumore di zoccoli caprini. L’unico modo per liberarsi di lui è lanciargli una monetina.
4. Società anonima milanese industria salumi e formaggi
Proprio di fronte alla Pia Casa della Senavra, si può osservare una vecchia azienda che produceva salumi e formaggi italiani. Costruito nel 1909, lo stabilimento rivaleggiò con i più famosi d’Europa per grandiosità e modernità di impianti e norme igieniche. Ad oggi ospita un insieme di servizi, tra cui una scuola materna e una biblioteca.
5. Piazza Giuseppe Grandi
La fontana collocata al centro della piazza è dedicata a Giuseppe Grandi, scultore italiano ed esponente di spicco della Scapigliatura lombarda. La particolarità di quest’opera è la presenza di un rifugio antiaereo sottostante ad essa che può ospitare oltre 400 persone, utilizzato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
La fontana, realizzata da Werther Sever, è costituita da una grande vasca rettangolare di 400 metri quadri, circondata da larghe gradinate in masselli di granito bianco di Montorfano. Su un angolo delle gradinate è posta una grande colonna squadrata alta 13 metri che funge da condotto di aerazione del rifugio, e da cui sgorga la cascata d’acqua che alimenta la fontana. Sull’angolo opposto si erge la scultura di bronzo dedicata a Giuseppe Grandi. La statua, di dimensioni monumentali, raffigura un giovane nudo proteso in avanti, come ad ammirare la cascata d’acqua, e intende rappresentare, nelle intenzioni dell’artista, lo stupore dell’uomo dinnanzi alla natura. Proprio per rispettare questa simbologia e in accordo con la Soprintendenza dei Beni Architettonici, la spessa formazione calcarea ricoperta di muschio che si è formata sulla colonna di marmo nel corso degli anni non è stata rimossa nella fase di restauro. Quello di Piazza Grandi è uno dei pochi visitabili e uno dei rifugi meglio conservati grazie al grande lavoro di recupero della fontana e del suo impianto idraulico.
6. Via Camillo Hajech
Via ricca di architetture particolari, come le case progettate da Giò Ponti, situate tra il civico 29 e il civico 37, sulla base della produzione in serie della casa moderna.
Focus: i simboli di Milano
I Draghi Verdi
Soprannominate così per il colore e il caratteristico rubinetto a forma di drago, sono le caratteristiche fontanelle civiche milanesi. Sparse in tutta la città, sono più di 580 e sono decorate con lo scudetto di Milano, installate in città a partire dal 1931 e realizzate in ghisa dalle Fonderie Alfredo Lamperti Castellanza. Il drago, o biscione, è uno dei simboli più caratteristici della città e il motivo della sua presenza va cercato nella leggenda. Simbolo di potere e del rapporto di Milano con l’acqua, secondo alcuni il drago evoca il mitico Tarantasio, creatura leggendaria che popolava il lago Gerundo, bacino d’acqua ormai scomparso che copriva un’ampia porzione della pianura lombarda. Tarantasio terrorizzava la popolazione locale: fiatava vapori sulfurei e divorava bambini. Finché un giorno fu ucciso in battaglia da Uberto Visconti, capostipite della dinastia, fermatosi presso il lago per un po’ di ristoro. Alla morte dell'animale il lago si ritirò, restituendo agli abitanti una grande terra fertile. Uberto Visconti, per commemorare l’impresa, decise quindi di rappresentare la sua casata proprio con un drago. Secondo un’altra leggenda fu Azzone Visconti a proporre come simbolo il biscione, quando nel 1323, accampatosi con le sue truppe nei pressi di Pisa, non si rese conto che una vipera si era infilata nel suo elmo. Quando lo mise sul capo, la bestia velenosa sgusciò via senza morderlo. Per altri, merita di essere ricordata la leggenda che vide come protagonista Desiderio, re dei Longobardi e antenato presunto dei Visconti. Si narra che la testa del sovrano fu attorniata come una corona da un serpente, il quale si allontanò, anche in questo caso, senza mordere. Il monarca longobardo avrebbe, quindi, adottato il serpente come simbolo da tramandare ai suoi successori. In ultimo, la storia rimanda al capitano Ottone Visconti che, durante la Seconda Crociata, sconfisse il saraceno Voluce, la cui insegna raffigurava «una biscia con un uomo scorticato in bocca». Tornato a Milano, Ottone dispose che i suoi discendenti portassero come vessillo proprio quella biscia, e dal momento che lui stesso «aveva vinto sette fortissimi uomini», le spire del serpente contano sette anse. Ancora oggi le raffigurazioni del biscione si ritrovano su alcuni dei muri e palazzi più importanti della città. Dalla torre del Filarete del Castello Sforzesco a Piazza dei Mercanti, dal drago sui rilievi del Duomo agli stemmi sulla stazione Centrale, dalle fontanelle pubbliche milanesi allo stemma dell’Alfa Romeo. Le fontanelle milanesi vengono però chiamate anche “vedovelle”, perché il filo d’acqua incessante che ne sgorga è paragonato al pianto di una vedova. Il continuo flusso in uscita non costituisce uno spreco d’acqua, in quanto non si disperde ma, attraverso la fognatura, raggiunge i depuratori milanesi, dove viene depurata e restituita all’ambiente ad uso dei consorzi agrari per irrigare i campi a sud della città. Le vedovelle sono inoltre posizionate in prossimità delle cosiddette “teste morte”, cioè le diramazioni a fondo cieco della rete acquedottistica, e il loro fluire continuo contribuisce allo sfiato di sacche d’aria che si potrebbero formare all’interno delle tubazioni.
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La scrofa semilanuta
Un altro simbolo del capoluogo milanese, antecedente all’età comunale, è la scrofa semilanuta, creatura leggendaria che si riallaccia alla fondazione della città avvenuta ad opera dei Celti. Milano, secondo quanto narrato dallo storico Tito Livio, sarebbe stata fondata nel VI secolo a.C. da una tribù celtica che, dalla Gallia, giunse nella penisola italica con l’intento di conquistarne la parte settentrionale. A guidare la tribù era Belloveso. La leggenda narra che, arrivato nella pianura padana, Belloveso, si ritrovò in mezzo ad un paesaggio inospitale fatto di fango e paludi e pertanto consultò l’oracolo per sapere il punto preciso in cui stabilire l’insediamento. La risposta dell’oracolo fu che una scrofa ricoperta di pelo avrebbe indicato l’origine e il nome della città. E così fu: ad un certo punto, lungo il cammino, i Galli si ritrovarono davanti ad una femmina di cinghiale con il pelo molto lungo solo nella parte anteriore del corpo, che pascolava. La scrofa, per i celti, era un animale sacro e questo incontro fu interpretato come il segno propizio per la fondazione della città. Ecco che in quel luogo nacque Medhe-lan che in gallico significa “terra di mezzo” e la scrofa ne diventò il simbolo. Medhe-lan diventò, in latino, Medio-lanum che può avere accanto al significato di “terra in mezzo alla pianura”, anche quello di “semi-lanuta”. La scrofa semilanuta rimase il simbolo di Milano fino a quando, in epoca medievale, venne sostituita dal biscione dei Visconti, ma oggi si trova ancora raffigurata in alcuni punti della città: in Piazza dei Mercanti, con un bassorilievo su uno dei capitelli del Palazzo della Ragione; in uno stemma nel cortile interno di Palazzo Marino in piazza della Scala e sul gonfalone ufficiale del capoluogo lombardo, ai piedi di Sant’Ambrogio.
Lo stemma di Milano
Lo stemma di Milano è costituito da uno scudo sannitico di color argento-bianco su cui è sovrapposta una croce rossa. Il tutto è racchiuso ai lati da un ramo di alloro e uno di quercia, legati insieme da un nastro tricolore. Lo scudo, che è timbrato da una corona turrita di colore oro o nero, è in uso, nella sua forma moderna, dal 19 marzo 1934, quando fu emanato il relativo decreto di concessione da parte dello Stato.